Cosimo Cristina, 5 maggio 1960, un giovane e coraggioso giornalista ucciso dalla mafia

Non aveva neanche compiuto i 25 anni quando Cosimo Cristina, nel lontanissimo 5 maggio 1960, venne "suicidato" per mano mafiosa a Termini Imirese, in provincia di Palermo. Era giovanissimo e pagò con la vita il suo coraggio e la sua passione per il giornalismo. Il suo corpo venne trovato sui binari della ferrovia e l'avvenimento passò per un suicidio. Ci vollero tre decenni per ufficializzare che il "suicidio" in realtà era omicidio. In quegli anni nessuno parlava di mafia ed i politici locali sostenevano che la stessa non esistesse e che fosse solo una folle invenzione dei "comunisti". Nel 1956 a soli 21 anni divenne corrispondente del mitico quotidiano "L'Ora" di Palermo e nel 1959 fondò un periodico dal nome "Prospettive Siciliane". Il primo articolo uscì il 25 dicembre. Scriveva anche per l'agenzia ANSA, per il Messaggero di Roma, il Giorno di Milano e il Gazzettino di Venezia. Un buon inizio per una promettente carriera di giornalista. Sul periodico "Prospettive Siciliane" pubblicò una serie di inchieste sulla mafia siciliana delle Madonie e sugli intrecci della stessa con politici locali. Eloquenti i titoli delle sue inchieste: “La strada per la droga passa per Palermo”; “Agostino Tripi è stato ucciso dalla mafia?”; “La verità sull’omicidio dell’industriale Pusateri”; “Ecco chi sono Giovanni Cammarata, Antonio Malta e Alessandro Alagna, incriminati per l’uccisione del capomafia di Valledolmo”. La mattina del 3 maggio Cosimo Cristina uscì di casa e non vi ritornò più. Il suo corpo fu ritrovato alle 15:35 del 5 maggio dal guardalinee Bernardo Rizzo di Roccapalumba: era disteso al centro dei binari, a pancia in su e con la testa che sfiorava la rotaia, nei pressi della galleria Fossola di Termini Imerese. Per terra furono trovati il portafoglio, un mazzo di chiavi e un portasigarette. In tasca aveva una schedina del totocalcio e due biglietti: uno per la fidanzata, Enza Venturelli, l'altro per l'amico Giovanni Cappuzzo, con i quali si scusava per il gesto estremo. Sui biglietti non venne mai fatta alcuna perizia calligrafica e non vennero mai approfondite le incongruenze dell'accaduto. Venne rubricato tutto e frettolosamente come "suicidio". Solo dopo ben sei anni ed esattamente il 16 aprile 1966, durante una riunione tra i questori della Sicilia, fu deciso di dare vita al "Centro regionale di coordinamento per la polizia criminale" con lo scopo di indagare sui tanti delitti rimasti impuniti in quegli anni, la cui direzione fu affidata al vice-questore di Palermo Angelo Mangano, passato all'onore delle cronache per aver catturato nel 1964 la "Primula Rossa" di Corleone, Luciano Leggio. Mangano affermò di aver raccolto le prove che dimostravano la matrice mafiosa dell'omicidio di Cosimo Cristina. E nel rapporto che venne stilato da Mangano si individuano anche i presunti colpevoli ed esecutori.
 Il corpo di Cosimo Cristina venne riesumato ma  le relazioni depositate dai periti Marco Stassi e Ideale Del Carpio, stabilivano che si trattava di un chiaro caso di suicidio, benché l'autopsia fosse oramai stata eseguita su uno scheletro. Il caso fu pertanto nuovamente archiviato come suicidio. Quindi per la giustizia italiana si tratta di un suicidio anche se oramai storicamente Cosimo Cristina è considerato a tutti gli effetti una vittima di mafia. Nel 2000 con una raccolta firme si chiese alla Procura di Palermo di riaprire il caso, ma non andò a buon fine. Molte le iniziative intraprese per la sua memoria. Il 5 maggio 2010, per il cinquantesimo anniversario della morte di Cosimo Cristina, la rivista Espero insieme al Comune di Termini Imerese e all’Ordine dei Giornalisti di Sicilia decisero di mettere una lapide nel luogo in cui venne trovato il corpo. Oggi sono esattamente 60 anni dalla sua morte. Il primo giornalista nella storia del nostro Paese ad essere ucciso dalle mafie. Purtroppo, ne seguiranno tanti altri.
(fonte della foto:  "Il Giornale di Sicilia" del 23 giugno 1966)